La Cassazione con la sentenza n. 6490/2024 conferma i criteri mediante i quali il giudice può dichiarare parzialmente nulla la claims made attraverso l'analisi del rapporto tra premio e rischio assicurato, ed esclude la sostituzione dell'ultrattività con la copertura decennale postuma della Legge Gelli-Bianco, dichiarando che la stessa non costituisce un modello tipizzato di copertura assicurativa.
Con la sentenza n. 6490 del 12 marzo 2024 la Sezione Terza della Corte di Cassazione ha reso un'importante pronuncia, indicando in che termini valutare la nullità parziale della clausola claims made e, in secondo luogo, i criteri mediante i quali sostituirla.
La fattispecie riguarda un caso di responsabilità medica, in cui i convenuti erano stato condannati dal Tribunale di Roma al risarcimento dei danni, con accoglimento delle rispettive domande di manleva. La Corte d'Appello di Roma, tuttavia, aveva rigettato il gravame attinente all'inoperatività della polizza in forza della clausola claims made.
In particolare la claims made in questione, secondo quanto riportato nella sentenza della Suprema Corte in commento, era dotata di ultrattività annuale, a copertura delle “richieste di risarcimento presentate per la prima volta nel corso del periodo di efficacia dell'Assicurazione, a condizione che tali richieste siano conseguenti a fatti colposi posti in essere durante il periodo di validità della garanzia e quindi non in data antecedente l'effetto della presente polizza. La garanzia vale altresì per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all'Assicurato entro 12 mesi dalla cessazione del contratto, sempre che il fatto che ha originato la richiesta si sia verificato durante il periodo di validità della polizza”.
La sentenza di secondo grado, quindi, aveva considerato nulla la predetta clausola perché l'ultrattività annuale non avrebbe realizzato l'equo contemperamento di interessi voluto dalle parti: quest'ultimo, infatti, secondo la Corte d'Appello avrebbe richiesto l'ultrattività decennale prevista dal legislatore per la responsabilità medica e per la responsabilità degli avvocati, contenuta rispettivamente nell'art. 11 L. 8 marzo 2017 n. 24 e nell'art. 2 comma 1 D.M. del Ministero della Giustizia del 22 settembre 2016.
Il principio di diritto richiamato dal Giudice di secondo grado a sostegno della propria decisione è quello reso dalle Sezioni Unite il 24 settembre 2018, con la sentenza n. 22437, la quale ha indicato che il giudice di merito deve valutare ai sensi dell'art. 1322 comma 1 c.c. l'adeguatezza del contratto "agli interessi in concreto avuti di mira dai paciscenti", esaminando la c.d. causa concreta dell'operazione negoziale, modificandola grazie all'art. 1419 comma 2 c.c. con "quelle prestazioni oggetto di informativa precontrattuale, inclini a modulare un adeguato assetto degli interessi dell’operazione economica, che non abbiano poi trovato puntuale e congruente riscontro nel contratto assicurativo concluso"
Pertanto, la Corte d'Appello ha ritenuto nulla la claims made con copertura ultrattiva annuale in quanto non realmente corrispondente agli interessi dell'assicurato e, in forza del principio di diritto espresso dalla sentenza n. 22437/2018 delle Sezioni Unite sopra richiamata, l'ha sostituita con il modello di claims made previsto per la responsabilità medica, contenente quell'ultrattività decennale considerata maggiormente in linea con gli interessi delle parti. In particolare, nel secondo grado di giudizio il Giudice afferma di aver ravvisato un c.d. buco di copertura che potrebbe ingenerarsi a sfavore dell'assicurato in conseguenza di un'estensione ultrattiva così ridotta, svantaggio che nella polizza non era stato compensato con la previsione della c.d. sunset clause di durata decennale.
La sentenza di secondo grado, infatti, ha affermato quanto segue: "l'assicurato, pur accettando un siffatto modello assicurativo, certo non rinuncia a chiedere che sia, comunque, approntato a sua tutela un sistema di protezione, che gli offra una copertura assicurativa, seppure a spettro variabile in relazione alle concrete pattuizioni contrattuali intercorse con l'assicuratore, con riferimento a condotte dalle quali sia derivato un danno lungo latente attuate nella vigenza della polizza, operante anche nei casi in cui, entro un predeterminato lasso di tempo rispetto alla data di scadenza della polizza (dieci anni quanto alla professione medica ex lege 24/17), giunga postuma una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato".
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha cassato con rinvio la pronuncia della Corte sulla base delle seguenti motivazioni.
Innanzitutto, la Cassazione ritiene che la sentenza impugnata abbia errato nel rilevare un buco di copertura dovuto alla mancanza di una copertura ultrattiva decennale, non applicando correttamente il principio di diritto espresso dalla sentenza n. 22437/2018 delle Sezioni Unite.
Infatti, nel citato intervento nomofilattico era stato evidenziato che la validità della claims made dev'essere esaminata valutando se i limiti di estensione della copertura sono stati presi in considerazione nel calcolo del premio: "Non è, dunque, questione di garantire, e sindacare perciò, l'equilibrio economico delle prestazioni, che è profilo rimesso esclusivamente all'autonomia contrattuale, ma occorre indagare, con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale "on claims made basis" presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacchè, nel contratto di assicurazioni contro i danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale. Del resto, una significativa chiave interpretativa in tal senso è fornita dal considerando n. 19 della direttiva 93/13/CEE, che, sebbene abbia riguardo specificamente alla tutela del consumatore, esprime, tuttavia, un principio di carattere più generale, che trae linfa proprio dall'anzidetta relazione oggettiva rischio/premio, sterilizzando la valutazione di abusività della clausola di delimitazione del rischio assicurativo e dell'impegno dell'assicuratore "qualora i limiti in questione siano presi in considerazione nel calcolo del premio pagato dal consumatore".".
Invece, nel caso di specie, ad avviso della Suprema Corte il Giudice di secondo grado non ha svolto la predetta analisi, in quanto lo stesso avrebbe dovuto "verificare se la specifica conformazione della clausola, cioè la combinazione tra copertura pregressa ed ultrattività annuale, riguardata alla luce del rapporto tra rischio e premio, svuotasse di ogni ragion pratica il contratto; detta valutazione la Corte d'appello non ha correttamente condotto, perché nessuna valutazione ha riservato alla specifica determinazione temporale della ultrattività della copertura assicurativa ".
In sostanza, quindi, la Corte d'Appello di Roma ha errato nel prendere in esame solo l'estensione ultrattiva, omettendo di verificare se la complessiva estensione della copertura, comprensiva di retroattività ed ultrattività, a fronte del premio versato, rendesse priva di causa concreta la polizza stipulata.
In secondo luogo, la Suprema Corte ha censurato la sentenza impugnata anche per un altro aspetto: la Corte d'Appello ha "erroneamente ritenuto che la legge Gelli Bianco abbia tipizzato un modello di copertura assicurativa incentrato anche sulla previsione di una clausola postuma di durata decennale" mentre invece " l'ultrattività decennale, contenuta nel secondo periodo dell'art. 11, è prevista, in verità, per la sola ipotesi della cessazione definitiva dell'attività professionale, offrendo una garanzia anche rispetto a fatti generatori della polizza che si siano verificati nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura".
In sintesi, quindi, la Corte d'Appello ha modificato la clausola erroneamente ritenuta nulla con un elemento che non costituisce il paradigma normativo standard della claims made, in quanto l'ultrattività decennale è l'eccezione, e non la regola, nella polizza prevista per la responsabilità medica.
La pronuncia appena esaminata consente di svolgere alcune brevi considerazioni.
Innanzitutto, la pronuncia in esame ha confermato che nell'applicare l'art. 1419 comma 2 c.c. il giudice deve anche individuare la norma imperativa suppletiva che consenta di conservare il contratto, come indicato in una recente sentenza sulla claims made in cui tale operazione non era stata svolta (Cass. Civ., Sez. III, 11 aprile 2023, n. 9616).
Inoltre, la sentenza in commento richiama un precedente in cui una claims made con ultrattività annuale era stata ritenuta valida perché il premio versato, rapportato anche all'estensione retroattiva della clausola, era stato ritenuto in linea con le esigenze concrete dell'assicurato: "La Corte territoriale ha anche precisato che la clausola in esame si sottrae comunque al rilievo di non meritevolezza, essendo ridotta la possibilità che si crei una scopertura della garanzia per parte del periodo per il quale è stata stipulata l'assicurazione e, verosimilmente, è stato pagato il premio: sia perchè non esclude totalmente le richieste di risarcimento postume rispetto alla scadenza del contratto (essendo consentite quelle avanzate nell'anno successivo alla cessazione del contratto); sia perchè detto ultimo termine è da ritenersi congruo anche in relazione alla durata triennale del rapporto assicurativo." (Cass. Civ., Sez. VI, 9 luglio 2019, n.18413).
Pertanto, allo stato, le criticità della giurisprudenza nel valutare la validità della claims made riguardano principalmente due aspetti: l'esame del rapporto tra l'estensione della copertura complessiva e il premio pagato da un lato e, dall'altro, gli elementi normativi dai quali attingere per modificare la clausola eventualmente ritenuta parzialmente nulla.
Da ultimo, la pronuncia esaminata si apprezza in quanto ha cassato una sentenza in cui il Giudice si era indebitamente sostituito all'assicurato nel valutare le sue esigenze, ritenendo che lo stesso "pur accettando un siffatto modello assicurativo, certo non rinuncia a chiedere che sia, comunque, approntato a sua tutela un sistema di protezione, che gli offra una copertura assicurativa". Questa sovrapposizione del Giudice all'assicurato in alcune sentenze della giurisprudenza di merito, con la tendenza a rivalutarne ex post le esigenze assicurative, configura il rischio di interpretazioni arbitrarie che mortificano l'autonomia negoziale e la certezza del diritto, ma che possono essere arginate grazie alla corretta applicazione dei principi di diritto formulati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 22437/2018, come accaduto nel caso oggetto della sentenza commentata.