Con l'ordinanza n. 28974 del giorno 11 novembre 2024, la Corte di Cassazione ha riaffermato alcuni consolidati principi sulla violazione del consenso informato.
Nella fattispecie, il paziente si era recato in Pronto Soccorso a causa di un dolore all'inguine, e gli era stata diagnosticata un'ernia inguinale, che doveva essere operata immediatamente. L'operazione veniva eseguita ma, dopo 48 ore, erano insorte complicazioni che hanno comportato un danno all'apparato riproduttivo.
Il paziente ha instaurato un giudizio contro l'Azienda Sanitaria Provinciale e il medico operante, ma il Giudice di merito sia in primo che in secondo grado ha accertato, grazie alla CTU espletata, che il danno finale era stato causato dal ritardo del paziente nel recarsi in nosocomio: a quel punto, infatti, le conseguenze dell'ernia erano già irreversibili.
La decisione è stata oggetto di ricorso per Cassazione, nel quale il danneggiato ha allegato, tra l'altro, la violazione nell'acquisizione del proprio consenso informato per l'operazione, sostenendo che non era stato indicato il nome del medico che gli ha fornito le informazioni terapeutiche.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha indicato che l'assenza del nome del medico che ha fornito le indicazioni terapeutiche non determina l'incompletezza della informazione, il cui contenuto essenziale è l'informazione terapeutica stessa e non chi la renda, di talché una tale carenza non sostanzia violazione degli artt. 32 Cost. e 1228 c.c. in riferimento alla salvaguardia del diritto all'autodeterminazione terapeutica.
Ma la Corte ha, altresì, ribadito il proprio orientamento ribadendo che il paziente oltre ad allegare l'incompletezza del consenso informato, deve indicare il pregiudizio che il presunto consenso informato incompleto avrebbe determinato e, pertanto, quale diversa scelta terapeutica avrebbe fatto se fosse stato adeguatamente informato.
In termini più completi la Cassazione si era già espressa sul punto, con precedente arresto richiamato dall'ordinanza in commento, affermando che: "l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova - che, in applicazione del criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., grava sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso" (Cass. Civ., Sez. III, 4 novembre 2020, n. 24471).
Pertanto, non avendo assolto a tale specifico onere, nel caso in esame la Corte ha ritenuto validamente acquisito il consenso informato del paziente.